Di accoglienza non si muore nelle Lampedusa d’Europa

«L’esperienza di Lampedusa dimostra che di accoglienza non si muore».

Sono le parole del sindaco del Comune di Lampedusa e Linosa Giusi Nicolini, all’apertura del convegno internazionale “Lampedusa Città dell’Europa: per un’Europa di uomini, donne, popoli, dignità e diritti”, organizzato il 4 e 5 aprile a Lampedusa da Emmaus Italia, con Emmaus Europa ed Internazionale, Legambiente, Libera e l’Italia sono anch’io. «E ben venga la candidatura al Nobel per la pace se serve a scongiurare un altro 3 ottobre -ha continuato il sindaco-deve far vergognare l’Europa, un Continente di 500 mila abitanti che dice di non farcela ad accogliere qualche centinaio di migranti che passa da qui».
Ma Lampedusa non è sola. Lo ha ricordato Jean Rousseau, presidente di Emmaus Internazionale, consegnando a Giusi Nicolini il Passaporto di Cittadinanza Universale per il suo impegno nella difesa del diritto alla mobilità internazionale. Il documento simbolico è emesso dall’Organizzazione per la Cittadinanza Universale, nata a Parigi per permettere a realtà come Emmaus ed altre associazioni di interloquire con l’ONU sullo scacchiere internazionale.

«L’isola è punto d’approdo per molte specie di animali migratori» ha sottolineato Gianfranco Peano di Legambiente. «Loro non conoscono frontiere e lo stesso dovrebbe essere anche per gli uomini». Del resto, la storia dell’intera Sicilia è quella di popoli migranti, ne sono consapevoli i Lampedusani, rappresentati dall’associazione imprenditori e dal parroco Mimmo Zambito che invita a «diventare tutti Lampedusani».

Oggi è anche la storia delle popolazioni del Nord Africa che fuggono dai regimi totalitari, dalla schiavitù, dalle persecuzioni, dal carcere. Restare nel proprio Paese spesso significa precludersi la possibilità di studiare, farsi una famiglia, costruirsi un futuro. E anche se tentare la fuga può costare la vita, «meglio vivere un giorno ma lottando per la libertà, che vivere di paura». Lo testimonia con parole toccanti la scrittrice eritrea Ribka Sibhatu, fuggita a sua volta dopo essere stata catturata e aver vissuto nel terrore di un’esecuzione barbara di cui poteva essere vittima in qualsiasi momento, senza motivo né preavviso.

Oggi denuncia dall’Italia «l’Olocausto di quasi 3000 Eritrei in fuga ogni mese da un Paese che è diventato ormai un carcere a cielo aperto» invocando l’aiuto della comunità internazionale e di «un’Europa ricca ma tanto misera», per restituire democrazia, costituzione ed elezioni.

Si fugge anche dalla Libia, dalla Siria, dalla Tunisia. Alaa Talbi del Forum Tunisien pour le Droits Economiques et Sociaux ha sollevato il dramma dei migranti scomparsi. Sono più di 300 quelli di cui si son perse le tracce in Italia tra il 2011 e il 2012, secondo un rapporto documentato e consultabile on-line. Sulla loro sorte entrambi i governi, Sociaux ha sollevato il dramma dei migranti scomparsi. Sono più di 300 quelli di cui si son perse le tracce in Italia tra il 2011 e il 2012, secondo un rapporto documentato e consultabile on-line. Sulla loro sorte entrambi i governi, quello italiano e quello tunisino, hanno rifiutato di aprire un’inchiesta.

Ai migranti che bussano alle porte dell’Europa è negata la possibilità di entrare legalmente. Così alcune migliaia di loro finiscono per ammassarsi lungo le frontiere, nei punti in cui si apre un varco: a Lampedusa e nelle altre Lampeduse d’Europa come le enclaves spagnole in Algeria Ceuta e Melilla, ma anche le greche Evros, Farmakolisi e Manolada. «Questi luoghi di confine sono il simbolo del fallimento delle politiche di migrazione europea. Un simbolo perché quanto a numeri non rappresentano la via d’ingresso principale nel vecchio continente: i migranti entrati in spagna da Ceuta e Melilla, sommati a quelli che passano dalle Canarie e dall’intera costa Andalusa, non raggiunge il 10%», ha precisato Maria Del Carmen Castellano Paredes di Andalucìa Acoge, invitando la società civile ad assumersi le proprie responsabilità, informarmandosi sui fatti e denunciando le violazioni dei diritti umani.

L’Italia sono anch’io, con Grazia Naletto di Lunaria e Piero Soldini di CGIL, ha presentato i 10 punti per porre le basi di una nuova politica migratoria europea, incentrata sul rispetto della persona e dei diritti universali. Antonio Mazzeo, candidato alle lezioni europee con L’altra Europa con Tsipras, li ha sottoscritti tutti. Con Oliviero Alotto di Green Italia ha risposto all’invito delle associazioni. Si è discusso dell’aumento delle spese militari a discapito del Welfare, di Mare Nostrum che sposta a Sud le frontiere da difendere della Fortezza Europa, degli strumenti di guerra all’immigrazione come Frontex e Eurosur che si stanno moltiplicando, alimentando i nazionalismi. Questioni che avrebbero meritato un dibattito aperto tra tutte le forze politiche, rimaste invece sorde di fronte alla richiesta di confronto avanzata dalle numerose realtà europee e nordafricane presenti al convegno, impegnate quotidianamente nella collaborazione internazionale.

«L’Unione si espande sempre di più attraverso l’esternalizzazione del controllo delle frontiere subappaltato a Paesi terzi che non rispettano i diritti universali: Libia, Ucraina, Marocco, Tunisia, Algeria» ha spiegato Sara Prestianni di Migreurop. «È la “politica della dimensione estera” e ha l’obiettivo di tenere i migranti lontani dai nostri confini». Gli accordi di riammissione stipulati con i Paesi africani nei quali vengono rispediti, una volta intercettati in mare, celano interessi economici mondiali: dell’instabilità politica dei Paesi poveri, infatti, si nutre l’Occidente che può sfruttare intere popolazioni secondo i meccanismi perversi di una moderna forma di schiavitù. «È una follia pura spendere così tanto nel controllo delle frontiere», è il commento del presidente di Emmaus Internazionale Jean Rousseau. «Sono politiche pericolose per le persone, costosissime, inefficaci perché i migranti espulsi ritornano, perciò ancora più aberranti».

Oltre a chiedere l’abolizione dei centri di detenzione (i CIE) e di operazioni come Frontex e Plan Africa, per difendere la libertà di circolazione sancita dall’art. 13 della Dichiarazione universale dei Diritti Umani è necessario opporsi in maniera chiara contro le spese militari, la produzione e il commercio delle armi. Lo ha ribadito Renzo Fior, presidente di Emmaus Italia, ricordando l’appuntamento a Verona del prossimo 25 aprile, per l’Arena di Pace e Disarmo 2014. Bisogna altresì stemperare i toni del dibattito e fare correttamente informazione, uscire cioè dalla retorica politica per cui il migrante è colpevole. Termini come “migrante Illegale” o “clandestino” vanno banditi, suggerisce una campagna sul linguaggio promossa da Picum (Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants).

Durante tutta la settimana di iniziative i ragazzi delle scuole sono stati coinvolti sul tema della migrazione che hanno conosciuto, con grande sofferenza, attraverso i tragici eventi che hanno sconvolto l’isola. Hanno ascoltato le storie di Abdelkarim Abdela, fuggito dall’Eritrea e sbarcato a Lampedusa nel 2008, Ali Daud la cui fuga dal Ciad è diventata il documentario CiaLiLaBi, e ancora le parole piene di forza e di speranza di Padre Giovanni La Manna del Centro Astalli (Roma), di Paola La Rosa del Comitato 3 Ottobre Lampedusa, di Rachid Berradi, primo atleta di colore, migrante economico dal Marocco, ad aver rappresentato il nostro Paese alle Olimpiadi durante i giochi di Sidney.

«Il senso era quello di partire da Lampedusa con la consapevolezza che esistono tante realtà al di qua e al di là dell’Europa» commenta il vice presidente di Emmaus ed organizzatore della settimana di mobilitazione sull’isola Franco Monnicchi. «Favorire il dialogo è un primo ed importante passo perché, insieme, si possa chiedere con forza di cambiare le politiche di controllo delle migrazioni a livello europeo. Costruire dei ponti sul Mediterraneo, verso le realtà che vi si affacciano, ci permette di cancellare la paura dell’altro: la relazione con mondi diversi ci può solo arricchire».

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